
Il Teatro di Kepler 451 nel pieno del proprio rigore spietato.
A place of safety. Uno spettacolo dinamico, impattante e insolito. Insolito perchè ci aspettavamo uno spettacolo incentrato esclusivamente sui migranti e non sui soccorritori. Sul palcoscenico troviamo infatti 6 persone “bianche”: 4 italiani, 1 americano e 1 portoghese. Lo spettacolo è narrato dal punto di vista dei soccorritori, ma consente al pubblico di potersi immergere completamente in alcune delle storie di questi migranti. Perché i migranti ci sono e sono tanti. Più di quanti ce ne aspettiamo. Il problema è che non siamo informati in maniera adeguata. Un qualsiasi telegiornale non riuscirà mai a dirti in un minuto di servizio quello che questo spettacolo ci ha trasmesso in due ore in cui ci ha sconquassato con domande più o meno dirette. I membri della Sea watch 5 hanno tante storie diverse e hanno scelto di essere in quella missione per motivi differenti. Nicola Borghesi ha scelto di prendere parte alla missione per poter trovare nuove storie da raccontare, vivendo un’esperienza diretta. Borghesi ha parlato del suo egoismo, che è un po’ l’egoismo di ogni essere umano. Perché non ci rendiamo conto di quanto noi esseri umani, alla fine, pensiamo solo a noi stessi, in particolare nelle situazioni difficili. Lo spazio si muove insieme alla narrazione e agli attori che simulano gesti esprimendo i loro pensieri durante la missione. La scenografia è costituita dal ponte di una nave e dalla presenza in proscenio di un cumulo di giubbotti salvagenti, tanti salvagenti, per dare l’idea del numero elevato di migranti e della concitazione generale che si respira sopra a una nave di ricerca e soccorso dopo un recupero in mare.
Una scenografia che, insieme ai numerosi riferimenti sonori, che riesce a dare l’idea della situazione in cui si trovano i migranti e i soccorritori. L’utilizzo dei walkie talkie per le comunicazioni fa capire in modo chiaro quanto sia difficile la situazione da gestire e come i pochi membri comunicano tra loro in un contesto di confusione tra feriti, bisognosi e moribondi. Capiamo dall’incedere del racconto che la nave è suddivisa in varie zone per gestire meglio il grande numero di persone. Per noi è stato brutale comprendere che alcuni migranti venivano salvati e poi lasciati a morire a bordo nella loro zona. Ma soprattutto è stato triste e scioccante sentire la chiamata di bisogno da parte del medico alla Guardia Costiera Italiana. Davanti a una richiesta di aiuto la risposta è stata l’indifferenza. La nave su cui si trovava il medico stava affondando con numerose persone a bordo e la Guardia Costiera Italiana ha detto loro di rivolgersi a Malta per una questione legata ai confini di competenza. Dopo numerose chiamate nella scena è calato il buio. Noi abbiamo interpretato questo buio come una vittoria dell’indifferenza sul bisogno di aiuto. Questa è solo una delle numerose storie che sono state messe in scena. Ma allora quale è questo “posto sicuro”? A questa domanda noi rispondiamo con una delle scene finali, nella quale i superstiti festeggiano la loro salvezza, a bordo della nave irlandese che si era offerta di dargli una mano. In quel momento i migranti, certi di essere salvi e di stare bene, festeggiano. Ma è una certezza che dura poco, poiché nella scena seguente, si mostra l’arrivo in Italia, le foto segnaletiche e i controlli che alimentano una sorta di incertezza relativa al loro futuro all’interno del paese.
Il mare è dunque un “posto sicuro” o è solo una fossa comune?
Perché è lì che molti sono sopravvissuti ma che altrettanti sono morti, abbandonati a se stessi. A place of safety è ambivalente nel presentarci cosa si agita nell’essere umano quando si decide di imbarcarsi in una nave di ricerca e soccorso, ma non lo è circa la necessità di compiere delle scelte: compresa quella da che parte stare. Consigliamo a tutti di immergersi e intraprendere questo viaggio che, grazie alle profonde riflessioni e all’alternarsi di parti descrittive e parti più narrate in diverse lingue, ci ha posto tante domande a cui siamo chiamati a rispondere come cittadini e cittadine.
Andrea Brunetti, Massimo Sciamanna