Un righello che cade, un libro sfogliato, una finestra che viene sbattuta. Cosa significano questi rumori? Cosa è successo? Sono alcune delle domande che hanno guidato il percorso di laboratorio sul radiodramma, condotto con 4 classi a partire dall’ascolto di alcune opere scritte e pensate appositamente per la radio diffusione. Un’indagine che da una parte si è concentrata sul ruolo che i bambini e le bambine possono avere come ascoltatori attenti e attivi, capaci di codificare e interpretare i segni di un linguaggio, dall’altra sulla costruzione di narrazioni sonore, seguendo un metodo per la creazione di una piccola drammaturgia collettiva.
Siamo partiti dall’ascoltare il silenzio. Un esercizio indispensabile che si è rivelato pieno di sorprese: a scuola, la posizione zero del suono, cela una miriade di impercettibili rumori, suoni, confuse parole, segni che offrono naturalmente agli ascoltatori e alle ascoltatrici affreschi quotidiani, che in questa nuova circostanza, mutano di significato. Gli occhi chiusi, le orecchie tese: dal cortile i bambini giocano a rincorrersi, uno piange, uno fa il mostro, una urla dalla paura; dalle scale un altro gruppo sale correndo per questo vengono sgridati; la maestra d’inglese insegna e come sempre si arrabbia; i banchi si spostano di continuo, perché a scuola è difficile stare fermi. Gli ascoltatori e le ascoltatrici partecipano attentamente a questo insolito e improvvisato radiodramma, che non si discosta troppo da Giochi di fanciulli di Giorgio Pressburger; si trovano così a sperimentare il loro quotidiano da un altro punto di vista. “Non è immediato” dicono. “Appena siamo stati zitti, non sentivamo nulla. Poi, pian piano, abbiamo iniziato a sentire”. Le orecchie sono il senso principale ma non l’unico, aggiungono, si ascolta con tanto altro. Con il cuore, i muscoli, il corpo. Il cervello, l’immaginazione, l’attenzione. Qualcuno ascolta anche con i nervi e con la bocca.
Si tratta dunque di un processo di conoscenza vero e proprio che grazie agli strumenti del teatro si sposta dai loro banchi, dalla classe, dalla scuola, fino alle strade di Bologna, alle loro case, al mare, allo spazio.
Ci si muove metaforicamente, seguendo i suoni e i rumori proposti da loro. Iniziano con bastoni che sbattono, campanelle che tintinnano, scatole che cigolano, palline da tennis che rimbalzano. Alternano ritmi, li rompono, fanno cori, dialoghi, piccole sequenze. Una parte ascolta, una parte rumoreggia. Ci si confronta ogni volta sul risultato: l’equilibrio tra le parti è indispensabile per esercitare entrambi i ruoli. Ragionano a gruppo, richiamano gli esempi ascoltati nei radiodrammi: una classe si trasforma in un laboratorio di falegnameria, un’altra in un mare in tempesta, un’altra ancora ripropone un’invasione degli ultra corpi che inizia con un lento respiro alieno fatto con un temperino. C’è chi fa scoppiare cannoni, chi si sfida a colpi di spada: nessun tocco, nessun corpo che si sfiora, è il suono che li unisce, li collega, li rende necessari uno all’altro per creare continuità narrativa.
Scardinare un contesto conosciuto è un atto difficile per dei bambini e bambine. Grazie al teatro, che trasforma il vero nel finto, l’immaginario si muove alla costruzione di mondi possibili da ascoltare, uno, quello dove ci si trova, e l’altro, generato, creato, si compenetrano, si arricchiscono, si migliorano. Ascoltare la scuola può portare sulla luna, basta tendere l’orecchio in un altro modo.
Beatrice Baruffini