La recensione che leggerete di seguito è il frutto di un percorso che Altre Velocità sta intraprendendo con un gruppo di professori e professoresse appartenenti a La scena che educa, la Rete di scopo teatrale che unisce 9 scuole bolognesi.
E’ stato proposto di partecipare a un percorso pensato appositamente per loro di Crescere spettatori #adults durante il quale sperimentare in prima persona l’incontro con nuovi linguaggi ed estetiche provenienti dalla scena.
Il percorso è convenzione con il Comune di Bologna e si svolge nella sede di Via Polese in collaborazione con Arena del Sole.
La recensione collettiva è stata scritta in un’ora di laboratorio. Il gruppo di docenti è andato a vedere Danzando con il mostro di e con Serena Balivo, Mariano Dammacco, Roberto Latini.
Buio e bicchieri. Un uomo e una donna si muovono incerti, quasi scomposti o forse leggermente ebbri. Giocano con dei calici fragili e luminosi che fanno girare tra le mani. Come prestigiatori. Nei loro movimenti festa e morte si rincorrono: abiti eleganti vestono i loro corpi e la loro danza. Non si arrestano mai, inquieti anche quando sono seduti. I loro corpi sono sinuosi, dinoccolati fino a quando si trasformano in marionette in posa sotto lo sguardo insistente del fotografo che scatta.
Sul fondo della scena, un’apertura sbarrata si fa varco narrativo e immaginativo tra il mondo dei vivi, al di qua, e il mondo dei morti al di là. In questo passaggio vive una figura ambigua che porta in sé i tratti di Pulcinella e che rappresenta l’umanità mascherata e viva: il personaggio. È a lei/lui che si rivolgono i due eleganti mostri?
In un ambiente oscuro, delimitato da una selva di microfoni, dispositivi per dar voce all’Inconscio e all’Oltretomba, danzano scale che finiscono nel nulla.
La tessitura drammaturgica, capace di intervallare ironia e introspezione, reitera alcuni appuntamenti che, agganciando lo spettatore, gli permettono l’incontro con una narrazione non sequenziale. Non ammorbare le persone… noi conosciamo la felicità e la felicità conosce noi…
Il pensiero della morte si fa mostro, tra altri più grotteschi e comici, e trova il suo compimento, la sua celebrazione nell’ariosa e sbuffante danza finale.
Ne usciamo a pezzi, attraversando il foyer tentiamo di ricompattarci e di sorridere: al primo semaforo si farà strada Capitan me stesso e la sua invettiva contro il ciclista, uno dei tanti mostri che ci abitano.