Cinque personaggi definiti “figure” co-abitano soli lo spazio immaginato da Alessandro Ferroni per Il ministero della solitudine. F., uomo di mezza età, non ci rivela mai il suo nome completo ma solo il suo passato che lo ha condannato ad una vita di solitudine, divorziato e senza amici si rifugia nel lavoro di apicoltore portandolo verso un disturbo ossessivo compulsivo. Contatta il Ministero della solitudine per richiedere sussidi economici, entrando in contatto con tutti gli altri personaggi. Simon svolge il lavoro di impiegata al Ministero che ci pare quasi un callcenter freddo ed anaffettivo. Ascolta storie di solitudine senza capire che la prima a essere sola è proprio lei che annaffia una pianta finta e si prende cura di un pesce meccanico. Primo è l’impersonificazione più estrema della solitudine, si prende cura di una bambola a cui ha dato Marta di nome e sogna di viaggiare con lei, intanto lavora come moderatore dei contenuti violenti che si trovano in internet. Contatta il Ministero per provare a sentire delle emozioni. Una caduta rappresenta la vita di Teresa che si rifugia nella scrittura di un romanzo, involontariamente autobiografico, per scappare dalle disgrazie della sua vita: la perdita del marito, il ritiro sociale della figlia Alma e l’insoddisfazione nei confronti proprio di questa suo romanzo, ancora non andato in stampa, letto solo da F. Teresa contatta il Ministero della solitudine con l’obbiettivo di far uscire la figlia di casa. Lo spettacolo offre una potente riflessione sul senso pervasivo della solitudine nella società contemporanea attraverso i destini intricati che intrecciano i cinque protagonisti, in modo profondo e toccante, evidenzia come la solitudine possa essere intrinsecamente legata a vari aspetti dell’oggi: dalle difficoltà relazionali all’isolamento tecnologico. Offre uno sguardo penetrante sulla fragilità delle connessioni umane in un mondo sempre più connesso virtualmente ma spesso distante emotivamente. “Il Ministero della Solitudine” invita a una riflessione critica sulle dinamiche sociali e sulla necessità di affrontare la solitudine come sfida collettiva, promuovendo una società più empatica e inclusiva. Si potrebbe anche definire come una drammatica fotografia della nostra società in cui troppe volte il progresso è inversamente proporzionale al benessere psicofisico. La scenografia coinvolgente del “Il Ministero della Solitudine”, con il palco nero, le luci LED e l’”armadio” rotante non solo offrono uno spettacolo visivamente affascinante ma agiscono come una porta aperta verso una riflessione intima. L’esperienza teatrale lascia lo spettatore con un turbine di emozioni e, soprattutto, con una serie di interrogativi che risuonano nell’animo. La complessità delle vite rappresentate, con i loro disturbi ossessivi compulsivi e la ricerca di connessioni umane, invita a interrogarsi su chi siamo. Sulle relazioni che coltiviamo e sulla natura mutevole della solitudine. In definitiva, “Il Ministero della Solitudine” non è solo uno spettacolo teatrale, ma un’esperienza che si insinua nelle profondità della coscienza, incitando il pubblico a esplorare le proprie relazioni, paure e desideri. L’effetto duraturo dello spettacolo è quello di lasciare gli spettatori con un senso di auto-riflessione, stimolando domande fondamentali sulla nostra identità e sulle connessioni umane nella complessità della vita contemporanea.
Andrea Saccani
Francesco Righetti