L’oggi è ancora romantico: come trovare se stessi nel racconto della musica

La tradizione e la memoria inseriscono il singolo, connotato da emozioni e soggettività, in un quadro più grande

Dire Romanticismo è dire memoria, delle tradizioni popolari e del passato in generale che attraverso il racconto e la voce diventano testimonianza. Attraverso la sottile linea del romanticismo è possibile leggere la programmazione dell’Emilia Romagna Festival che, sebbene sia aperto a mettere in scena alcune importanti innovazioni sul piano musicale, confessa la sua grande ammirazione per i Grandi del passato e per le emozioni e la vita che hanno vissuto e impiegato nella loro musica.

Un pensare romantico è un pensare attento alla storia, intesa non come mera successione di eventi sconnessi, ma come un processo graduale di crescita. Nelle prime fasi di questo processo possiamo riconoscere le prime fasi di noi stessi e della musica, indispensabili per comprendere meglio, prima, e apprezzare, dopo, il presente. Ad esempio, nelle ultime sperimentazioni di Mozart – definite dal suo editore musicale compromesse da un gusto per il “difficile” – possiamo scorgere quella che poi si connoterà come l’irriverenza della musica romantica, e così via. La musica esprime tanto, più di quello che possiamo immaginare: emozioni, intuizioni, ricordi, immagini. In particolare, per mostrare la storia, il Festival ha pensato di servirsi del racconto e delle voci di interpreti, che occupano timidamente, ma con autorità, gli spazi vuoti tra un’esecuzione e l’altra. Ad esempio, il 7 luglio il critico musicale Stefano Valanzuolo ha letto, o meglio interpretato, gli scritti di Mozart che precedevano la primissima elaborazione dei brani che sarebbero stati eseguiti dal Quartetto Indaco. O, ancora, il programma dell’ERF propone per il 20 agosto la lettura e il commento dei sonetti di Vivaldi da parte del maestro Uto Ughi: il personale vissuto del compositore e le sue intime sensazioni meritano di essere tramandati ed “eseguiti” ancora, proprio come le sue note. Oppure Elena Bucci, reciterà per noi l’Inferno di Dante il 14 luglio presso il Bosco di Fusignano. Sebbene l’opera letteraria nasca nel Medioevo, l’Inferno si presta bene a un contesto “romantico” in quanto cantica delle passioni, dell’irrazionalità che ha condotto gli uomini alla dannazione eterna.

La scelta di recitare i versi di Dante in un bosco suggerisce la volontà di creare un connubio tra racconto e natura, uomo e mondo: attraverso la religiosità che pervade i canti del Sommo, è possibile percepire una concezione “divina” – o comunque panteistica – del paesaggio, che diventa umano. Il Festival propone molti concerti all’aperto, e non è scontato nonostante ci troviamo in estate, perché molti brani di musica colta in programma sono pensati per essere eseguiti all’interno. Se il vento, le cicale, il caldo, il sole che tramonta, da un lato possono far correre il rischio di distrarre il musicista e lo spettatore, dall’altro rendono entrambi i protagonisti di un quadro ottocentesco, di quelli in cui le condizioni atmosferiche non sono particolarmente favorevoli. L’ERF propone dunque una musica che vive nella natura, una natura lontana dall’essere intesa in modo meccanico e oggettivo proprio grazie al racconto, che la lega per sempre a ricordi ed emozioni. Nella Poetica Aristotele ci fa notare come la musica esprima i caratteri, o meglio il carattere: rabbia, prudenza, malinconia, gioia. Dall’etimologia della parola “carattere” sappiamo che questa vuol dire “segno distintivo”, ed è proprio quello che i musicisti si premurano di far emergere nelle loro esecuzioni attraverso l’interpretazione, per così dire “fisica” dei brani, il trasporto che questi generano, ora con moderazione, ora con rabbia. Dunque è la soggettività ad emergere, sia nelle esecuzioni dai due ai cinque musicisti, sia nel caso di musicisti singoli, per lo più pianisti in solitaria: per fare qualche nome, i giovani Ruben Xhaferi e Karima, e János Balázs. Non è solo chi legge o recita a interpretare, ma anche il musicista, che ha l’occasione di comunicare il suo stato del momento, non solo di “dilettare gli orecchi”: per quello basterebbe un CD.

L’Emilia Romagna Festival è un Festival che parla di uomini vissuti nel loro tempo, di Mozart vissuto nel ‘700, così come noi viviamo nel nostro. Quale effetto produrrebbe, invece, la lettura di scritti di compositori contemporanei? Il pubblico della musica colta è un pubblico a cui interessa sapere di Mozart nello specifico, o di come la musica viene al mondo anche oggi? Nel rispondere a questa domanda, non dobbiamo dimenticare che le parole dei compositori del passato sono rivestite inevitabilmente di una solennità, che deriva dal percepirli non solo come maestri ed esempi per i compositori di oggi, ma anche come coloro che ci hanno semplicemente preceduto, e hanno vissuto prima di noi le stesse nostre emozioni, espresse in partiture in cui possiamo riconoscerci. Questa è la tradizione, cioè riconoscere il filo che lega il passato al presente, e che inserisce il singolo connotato da emozioni e soggettività in un quadro più grande.

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