Metamorfosi e contemporaneità: tra confusione e rinnovamento culturale

Metamorfosi. Questa è la parola d’ordine per accedere al portale di Emilia Romagna Festival dove la dicotomia tra pubblico e palcoscenico arriva a costituire un’unica identità, così che chi ascolta possa tralasciare il ruolo di mero osservatore per incanalarsi nell’atmosfera della performance.Quando ci troviamo ad assistere a un concerto dobbiamo saper accogliere ciò che ascoltiamo in una prospettiva interiore e non universale, cercando di carpire il messaggio che la musica vuole trasmettere dentro di noi. Tuttavia, nel corso del sesto appuntamento del 30 giugno alla Rocca Sforzesca di Imola dedicato ad autori cosmopoliti ,avanguardisti, antirealisti e contemporanei, questo aspetto inclusivo e accogliente verso il pubblico in sala è sfortunatamente venuto meno.

Il debutto iniziale è stato fortemente ridimensionato da una serie di precisazioni circa la mancata gestione degli agenti atmosferici e la scarsa capacità di interazione con la platea. Dopo la proiezione di due cortometraggi di videodanza volti a sensibilizzare attraverso l’espressione artistica dei danzatori su temi come la dignità e la sicurezza dei lavoratori, la performance si è aperta con indecisione e leggero sgomento data la prepotenza del vento e l’introduzione poco incoraggiante. Gioca un ruolo interessante e fondamentale in merito, la presentazione iniziale alla quale lo spettatore ha assistito prima di porgere le sue orecchie e il suo cuore (nonché la sua attenzione) ai musicisti sul palco. La presentazione avvenuta in modo convincente è senz’altro riconducibile a una previsione poco ottimistica già consolidata in precedenza all’arrivo del pubblico, ma nonostante le difficoltà si è comunque cercato di sfruttare al meglio ogni momento cardine all’interno del programma per risvegliare l’attenzione in sala.

Da Carrara a Shostakovich, un viaggio tortuoso e brulicante di sorprese dove elementi di puro caos si mescolano al simbolismo dalle sonorità calde e audaci fino ad instaurare dialoghi tra solisti e orchestrali con grande precisione ritmica. Non è mancata una buone dose di virtuosismo in particolare da parte dei solisti Giuseppe Albanese, Vicente Campos e Pietro Guastaferro che con la loro presenza scenica e tenacia hanno saputo fronteggiare problematiche tecniche non ininfluenti, affidando la loro interpretazione esclusivamente all’orecchio interno e tralasciando le impurità sonore amplificate dai microfoni. La commissione ERF e l’organico degli archi con pianoforte sembrano aver risentito maggiormente dell’inquinamento acustico e dell’invadenza del vento, il quale ha portato una cospicua dose di distrazione nel pubblico che non è stato guidato verso un ascolto completo e consapevole.

Diversamente si potrebbe auspicare per il concerto di Shostakovich, il pezzo da novanta che ha tenuto saldi anche gli animi più inquieti e ha saputo guadagnare spazio durante la tregua concessa dalla bufera. L’alternanza di due movimenti lenti con due movimenti più briosi, ha permesso di prevedere alcuni scivoloni e di aggiustarne altri in corso d’opera e se non altro ha aiutato la platea a digerire meglio l’esecuzione. Nella seconda parte si alternano toni sarcastici a toni drammatici passando per varie sfumature di natura repentina e volubile, infatti il materiale tematico dell’orchestra subisce irruente variazioni di tonalità e accenti per poi giungere verso la cadenza finale che non si può non identificare come una citazione alle prassi compositive beethoveniane.

Dunque un programma intenso, difficile da eseguire e ricco di significato che, risentendo della scarsa interazione degli artisti e il pubblico, è stato considerevolmente penalizzato dalla poca cura riservata ai silenzi e ai momenti teatrali. L’aspetto emotivo  è stato relegato a un ruolo marginale poiché l’abilità dei musicisti non è stata valorizzata nella sua integrità, pertanto è stato inevitabile dover fare i conti con la sensazione di dolce amaro una volta abbandonata la postazione in sala.

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