«Far vedere la complessità delle cose». Una scuola femminista a Dro

Ispirate ai concetti di femminismo intersezionale, volte a trovare risposte strutturali r concrete all’interno e all’esterno della rete europea da cui nascono, a Dro si sono svolte due giornate di riflessione sulle tematiche della parità di genere all’interno di una programmazione curata da Barbara Boninsegna e Filippo Andreatta per Centrale Fies, partner italiana del network.

Primo giorno di scuola (1/7/21)


Ci siamo sedute per terra, eravamo le uniche ragazze italiane. Gli artisti hanno portato dei tappetini e degli sdrai per farci stare più comode. Prima di arrivare alla centrale di Fies per la scuola femminista avevamo preparato delle domande. Ci siamo divisi in piccoli gruppi e ogni gruppo ha scelto di discutere su una domanda.


Le domande erano 5:


-cosa intendiamo e pensiamo per scuola femminista? È una scuola che parla del femminismo o è interessata alla parità di rappresentazione tra i sessi degli alunni e insegnati?


-perché usare in primo luogo la parola Scuola?


-come distingui questa scuola da quella più tradizionale?


-pensi che ci sia bisogno di una scuola femminista nella nostra società? Se sì, perché?


-come pensi che definirebbero il femminismo i tuoi nonni?


Il mio gruppo ha deciso di concentrarsi sulla quinta domanda, che chiedeva appunto cosa pensassero i nonni e i parenti del femminismo.


Abbiamo discusso su come far aprire la mente e far cambiare idea in positivo a generazioni più anziane sugli stereotipi del femminismo e di altri generi come ad esempio la sessualità e il razzismo. Dopodiché abbiamo condiviso le nostre idee con gli altri gruppi.

Il secondo giorno di scuola (2/7/21)


A quale corpo d’acqua vi sentite connesse?


Questa è stata la domanda iniziale che ci ha fatto “l’insegnante” all’inizio della giornata.
Ci ha fatto sedere in cerchio sul prato e l’ha chiamato momento di meditazione. A turno noi e gli artisti in sensi orario abbiamo risposto alla domanda, ad esempio una di noi ha detto di sentirsi connessa al mar tirreno perché ci va in estate con i suoi nonni e quindi si sente a casa.


Dopo di che l’insegnante ci ha divisi in gruppi e a ogni gruppo ha assegnato una parte di un libro da leggere.
La parte che ha ricevuto il mio gruppo si chiama “stregoneria narco-sessuale”, in pratica il libro fa riferimento al fatto che la medicina ha escluso i saperi delle streghe del medioevo, che usavano delle erbe e funghi con cui curavano i pazienti.


La medicina è patriarcale, se avevano un qualsiasi sospetto che una donna fosse una strega la uccidevano anche se non lo era. La caccia alle streghe continua anche ai giorni nostri; In alcuni stati dell’Africa, hanno creato dei sospetti sulle donne più anziane dei vari territori perché semplicemente proteggevano le loro terre, per questo, ultimamente le donne si sono difese.


Dopo aver parlato del libro tra di noi e aver divagato un po’ abbiamo fatto un disegno/scritta che rappresentasse per noi il capitolo che avevamo letto. Io ad esempio ho scritto la parola “pharmakon“, era una parola molto ricorrente nel testo che è una medicina che può sia uccidere che curare, diciamo che rappresenta una droga.


Abbiamo esposto i disegni agli altri gruppi e abbiamo detto il motivo del disegno.

Harun



«All’inizio non avevo molte aspettative e la cosa di cui mi sono preoccupato principalmente è l’atmosfera», ci dice Harun Morrison, artista che conduceva le giornate dedicate al femminismo e che era tra l’altro presente al festival con un suo lavoro. «Da maschio, non volevo assumermi un ruolo centrale e far ruotare tutto attorno a me. Sono contento che avete contribuito con delle domande perché siete ragazze giovani, attraverso i due giorni ho capito che è una cosa importante il fatto che bisogna vedere la complessità delle cose. Alla fine non ho nessuna aspettativa voglio rimanere aperto a quello che dicono le diverse persone».

(immagine di Centrale Fies)

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