Pomposa, ma con finezza.

Il sole del crepuscolo che ha colorato con le sue rosee tinte l’Abbazia di Pomposa questo Venerdì 9 luglio, è lo stesso che a Rouen giocava con la facciata della cattedrale per la gioia del pennello di Monet. E noi, consapevoli di quest’affinità, anche qui, stasera, abbiamo celebrato l’impressionismo, seppure in un’altra maniera. In assenza di cavalletti, ci siamo accontentati di un pianoforte. Piuttosto che ritrarre l’abbazia, abbiamo suonato per lei. E invece di un pittore, infine, le abbiamo portato Giovanni Umberto Battel.

Il programma era già estremamente accattivante fin dall’inizio. Il desiderio di raccontare l’impressionismo musicale attraverso i suoi due esponenti più significativi ha raccolto un nutrito pubblico di appassionati misti a semplici curiosi e ha messo di fianco due diverse maniere di interpretare la musica, permettendo così una riflessione sulle sue vaste capacità espressive. La scaletta, infatti, consisteva nell’alternarsi di tre composizioni di Debussy con due di Ravel: la Suite bergamasque del primo e Le tombeau de Couperin (limitato ai quattro movimenti successivi al preludio e alla fuga) del secondo nella metà iniziale dell’esibizione, la Valse romantique insieme a La plus que lente contrapposte a La valse nella ripresa. Le romantiche melodie del primo, memorabili e filmografiche, si sono così incontrate con le martellanti dissonanze del secondo dando vita a un tortuoso tragitto tra delicato onirismo e cupo decadentismo. Mentre infatti Debussy tratteggia un’atmosfera romantica e vitale, che intenerisce all’ascolto, Ravel è pervaso dalla consapevolezza della caducità umana, elemento indispensabile per l’esecuzione della sua suite in cui ogni movimento è dopotutto un tributo alla memoria di un amico scomparso. La serata è quindi scandita da un torrente emotivo che passa per rapide e zone di secca, che cattura e trattiene l’attenzione del pubblico e ne stimola l’orecchio e l’immaginazione. Il mondo circostante sembra voler duettare con Battel e lo può fare solamente attraverso i richiami degli uccelli e la campana dell’abbazia. La natura è partecipe oltre che presente in tutte le note che risuonano dallo splendido pianoforte che, da solo, riempie il larghissimo palcoscenico.

L’esecutore, insomma, può ritenersi soddisfatto dell’esperienza che ha procurato a noi ascoltatori. La platea ha pienamente compreso la lezione che ha voluto mostrarci con l’accostamento di questi due compositori e lo dimostrano i tanti applausi ricevuti e ricompensati dal pianista con un bis che non sono riuscito a identificare ma che probabilmente appartenente al repertorio di Debussy con cui condivide alcune caratteristiche tematiche. Sono trascurabili le poche difficoltà che Battel sembra aver incontrato verso l’avvicinarsi della pausa poiché devono sicuramente ascriversi alla natura stessa di una serata estiva romagnola e perché il pubblico non sembra essersene assolutamente accorto. Si è anzi allontanato emettendo un brusio melodioso che, al chiaro di luna, è parso essere il modo migliore per allontanarsi da Pomposa.

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