Bello spettacolo, fluido e comico al punto giusto.
Le parole intraducibili sono protagoniste di Atlante linguistico della Pangea, “esercizio di empatia” di Sotterraneo che in questa loro ultima opera, fresca di debutto, ha cercato di portare in scena «una relazione con le persone, a testimonianza della biodiversità che ogni cultura umana reca con sé»: così descrive il loro spettacolo la compagnia toscana.
Dopo essere state selezionate le parole intraducibili più interessanti e fluide per la creazione della drammaturgia dello spettacolo, hanno costruito sopra le azioni e le scene che, collegate tra loro, formavano un filo. Un filo senza nodi.
La scelta delle parole è vasta e tuttavia trovo che a ognuna sia stata data la giusta importanza.
Gli spettatori vedono proiettato su uno schermo spezzoni di interviste a persone appartenenti a diversi Paesi su zoom che provavano a definire il significato delle parole intraducibili argomentando i concetti e le idee alla base della natura della parola.
In lingua inuktitut la parola iktsuarpok significa «il senso di aspettativa che ti spinge ad affacciarti ripetutamente alla porta per vedere se qualcuno sta arrivando», questo è solo un esempio dell’intrigante carrellata di parole intraducibili che la scorsa sera i Sotterraneo hanno esposto divertendo tutti gli spettatori tra cui anche me.